Nominato il nuovo Comitato di Bioetica della SIP

Il 17 gennaio scorso il Consiglio Direttivo della SIP ha nominato il Comitato di Bioetica della Società Italiana di Pediatria 2014/2016, l’organo ufficiale deputato all’approfondimento di problematiche di natura bioetica relative alla Pediatria e, più in generale, ai diritti del bambino e della sua famiglia. A presiederlo è Stefano Semplici, presidente del Comitato internazionale di Bioetica dell’UNESCO dal 2011 e professore ordinario di Etica sociale all’Università di Roma Tor Vergata, autore di numerose pubblicazioni, tra le quali “Bioetica. Le domande, i conflitti, le leggi” (Morcelliana, 2007), “Undici tesi di bioetica” (Morcelliana, 2009), “Invito alla bioetica” (La Scuola, 2011). Semplici succede a Marcello Orzalesi (Fondazione Maruzza Lefebvre D’Ovidio) che ha presieduto il Comitato dal 2010, anno della sua costituzione, sino a oggi. Lo abbiamo intervistato sul magazine “Pediatria”.

Il Comitato per la Bioetica che tipo di contributo offrirà alla Società Italiana di Pediatria?
Lo Statuto del Comitato indica chiaramente tre compiti. Nell’ordine: diffondere e implementare la cultura bioetica pediatrica a tutti i livelli, partendo dalla SIP e arrivando ai “decisori” politici e amministrativi e a tutta l’opinione pubblica; rispondere a problemi di natura bioetica posti dal direttivo della SIP, da singoli soci, dalle Società affiliate o da altri soggetti coinvolti nell’assistenza alle persone in età evolutiva; occuparsi di problematiche bioetiche che possono sorgere nella operatività della SIP. A ciò si deve aggiungere che il Comitato, pur non occupandosi ovviamente di specifici progetti di ricerca clinica, può esprimersi rispetto a questioni che possono nascere in questo delicatissimo ambito. Non si tratta dunque di un laboratorio di riflessione puramente accademica e l’obiettivo non è quello della elaborazione di formule normative astratte dalla concreta esperienza “sul campo”. La funzione del Comitato è insieme di servizio e di stimolo. La responsabilità del pediatra, così come quella di ogni medico, non si esaurisce in una prestazione “tecnicamente” corretta, che pure ne costituisce il presupposto imprescindibile. Essa si misura in un contesto più ampio, in un “mondo” in cui – giusto per citare due fra gli aspetti più importanti – si consolidano o tramontano principi e valori che innervano il diritto e i suoi obblighi e si accumulano e distribuiscono le risorse senza le quali la pratica medica diventa il recinto del privilegio e non lo strumento di tutela di un bene che è insieme “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, per citare l’articolo 32 della nostra Costituzione. Intendo questa prospettiva aperta come un programma di lavoro.

In base alla sua esperienza maturata come presidente del Comitato Internazionale di Bioetica dell’UNESCO – organismo internazionale con una visione globale della bioetica – quali sono oggi i temi emergenti che riguardano i diritti dei bambini nel mondo?
La risposta va cercata nell’idea stessa di una Bioetica globale, riassunta in modo esemplare nei principi della Dichiarazione Universale sulla Bioetica e i diritti dell’uomo adottata nel 2005 dalla Conferenza Generale dell’UNESCO. L’elenco di questi principi include questioni che appaiono a molti estranee all’agenda della Bioetica: rispetto per la diversità culturale e il pluralismo; solidarietà e cooperazione; responsabilità sociale e salute; condivisione dei benefici derivanti dal progresso della ricerca scientifica e delle sue applicazioni. In questa dimensione sociale e – diciamolo pure – politica della Bioetica va interpretato lo stesso articolo 6 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite già nel 1989. L’impegno ad assicurare “in tutta la misura del possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo” ci sfida a garantire ad ogni bambino del mondo una nutrizione adeguata, un alloggio decoroso, l’istruzione e, naturalmente, l’accesso a cure sanitarie di qualità. Più che di questioni emergenti, si tratta di questioni persistenti, drammaticamente sottolineate in almeno due degli Obiettivi del Millennio, che si proponevano entro il 2015 di garantire a tutti i bambini e le bambine del mondo di poter portare a termine un ciclo completo di istruzione primaria e di ridurre di due terzi il tasso di mortalità infantile sotto i 5 anni. A ciò si aggiungeva l’impegno a ridurre di tre quarti il tasso di mortalità materna. In Italia, fortunatamente, non sono questi i temi all’ordine del giorno. Ma non si possono ignorare le faglie sempre più profonde di disuguaglianza che la povertà sta scavando nel diritto di ogni bambino ad uno sviluppo sereno, se non alla stessa sopravvivenza.

Il Comitato per la Bioetica della SIP dovrà elaborare (su base annuale) un piano programmatico di lavoro, individuando le priorità su cui intervenire con eventuali documenti e raccomandazioni. Quali sono a suo avviso le questioni più scottanti che il Comitato dovrà affrontare per prime?
Alla prima riunione il mio sarà doverosamente un atteggiamento di ascolto piuttosto che di proposta di un’agenda “personale”. Come ho ricordato, la SIP è il primo e fondamentale interlocutore del Comitato. In questo spirito ho letto l’elenco dei topics del prossimo Congresso italiano di Pediatria. Ho trovato molti temi di cruciale importanza per una Bioetica aperta e sociale come quella di cui stiamo parlando: la ricerca, i diritti dei bambini, la natalità, l’ambiente, le cure primarie e le vaccinazioni, l’internazionalizzazione, la responsabilità professionale, la condizione dei migranti, il trattamento delle malattie croniche e complesse. Mi piacerebbe poter presentare già a Palermo un primo contributo del Comitato su almeno alcuni di questi temi.

Lei ha avuto modo di dire che la Bioetica non può essere “privatizzata”, nel senso che non è possibile affidare la risoluzione di alcune questioni al sentire individuale. Può spiegare meglio questo concetto? Non ci sono a suo avviso situazioni in cui sarebbe più giusta una valutazione del caso singolo, una scelta di coscienza da parte del medico?
La ringrazio per questa domanda, che mi offre la possibilità di un chiarimento importante. L’antico paradigma paternalistico della Medicina non può essere sostituito da una logica semplicemente “contrattualistica”, che riduce il medico a semplice esecutore di scelte individuali. È la nostra Costituzione, come ho ricordato, a sottolineare come nel bene della salute si sovrappongano e debbano armonizzarsi il diritto dell’individuo e l’interesse della collettività. Ai quali si aggiungono la coscienza e la professionalità del medico, da lei giustamente richiamate. Per Dietrich von Engelhardt l’etica medica è un triangolo ai cui vertici si trovano il malato, il medico e la società. Il rapporto fra i primi due è l’alleanza terapeutica, più impegnativa in ambito pediatrico per l’impossibilità di considerare l’autonomia del bambino come quella dell’adulto. Il ruolo della società e in particolare dello Stato non è quello di imporre a tutti l’etica di qualcuno, ma di garantire i più deboli. Occorre tenere in equilibrio le dinamiche di libertà, giustizia e bene comune che si generano a partire da ognuno di questi tre soggetti. E in questo senso la bioetica non è una questione solo “privata”.