Divezzamento, ecco le corrette regole

Elvira Verduci, pediatra Ospedale San Paolo, Università di Milano

Con le indicazioni del Ministero della Salute

L’alimentazione in età evolutiva ha un notevole impatto in termini di prevenzione e di crescita dell’individuo. Esistono difatti periodi critici dello sviluppo del bambino, i cosiddetti primi 1000 giorni, in cui l’intervento nutrizionale può condizionare la salute del futuro. È in questo contesto che si inserisce il documento “Corretta alimentazione ed educazione nutrizionale nella prima infanzia F.A.Q.” (www.salute.gov.it)  pubblicato dal Ministero della Salute, frutto del lavoro del tavolo tecnico istituito ad hoc per raccogliere la proposta di definire linee guida relative all’alimentazione complementare dei lattanti e di cui hanno fatto parte sia la Società Italiana di Pediatria sia la Società Italiana di Nutrizione.

 Il documento spiega l’importanza del divezzamento, ovvero il passaggio da un’alimentazione esclusivamente lattea ad un’alimentazione semi-solida e poi solida.

Quando iniziare lo svezzamento?

Non esiste in realtà un momento preciso e uguale per tutti i lattanti in cui iniziare il divezzamento poiché può esser influenzato da diverse variabili. In ogni caso, in tale documento si raccomanda che il divezzamento sia avviato, ordinariamente, dopo i primi sei mesi di vita cosi come raccomandato dai principali Organismi e dalle principali Società Scientifiche. In linea generale non esistono dei menù o degli schemi ben precisi per iniziare il divezzamento e si può mettere da parte il concetto secondo cui gli alimenti debbano essere introdotti in base al loro grado di allergenicità. Difatti le ultime evidenze hanno mostrato che l’introduzione tardiva degli alimenti ritenuti “allergizzanti” non previene lo sviluppo di allergia alimentare e/o celiachia nei soggetti predisposti e che l’età del bambino alla prima esposizione verso l’alimento (purché avvenga dopo i quatto mesi di vita) non ne modifica il successivo rischio globale a 10 anni di età.

Come svezzare?

Si può scegliere tra alimenti diversi, senza forzare il bambino, consentendogli eventualmente di toccare cibo nel piatto e mangiare con le mani. In caso di scarso gradimento l’elemento fondamentale è la pazienza: il cibo potrà esser riproposto nei giorni successivi magari preparato in modo un po’ diverso. È importantissimo evitare l’assunzione di bevande zuccherate che, come recentemente sottolineato dall’American Heart Association, possono determinare un aumento dei fattori di rischio cardiovascolare. Inoltre, il bambino non può essere ovviamente considerato un piccolo adulto, per questo motivo le porzioni dipenderanno dalla sua età, sulla base delle indicazioni date dal pediatra.

Lo sapevi che….

Continuare ad allattare al seno durante il divezzamento comporta una serie di benefici per la salute sia della madre che del bambino, tra cui maggiore protezione contro le infezioni gastrointestinali e respiratorie e la morte in culla, riduzione dell’incidenza di alcuni tumori pediatrici, riduzione del rischio futuro di NCDs ed effetto positivo sullo sviluppo neuro-cognitivo.  Le mamme possono continuare ad allattare durante il divezzamento e comunque fino a quando lo desiderano, anche dopo il primo anno di vita del bambino. In caso di mancanza di latte materno sarà necessario scegliere un’adeguata formula di proseguimento evitando l’introduzione del latte vaccino nel primo anno di vita poiché potrebbe sbilanciare l’apporto proteico alimentare, causare carenze di ferro e microscopici sanguinamenti intestinali. Solo dopo l’anno di vita può essere introdotto quindi il latte vaccino intero ma in quantitativi non superiori ai 200-400 ml/die, per evitare un eccessiva assunzione di proteine.

Cosa fare dopo il primo anno di vita?
Dopo l’anno di vita l’apporto energetico complessivo, tra 1 e 3 anni, deve essere adeguatamente ripartito tra i diversi macro-nutrienti. Secondo le recenti indicazioni dei “Livelli di Assunzione di Riferimento ed Energia per la popolazione” (LARN) – IV revisione 2014, tale apporto dovrebbe derivare per il 50% dai carboidrati, per il 40% dai grassi e solo per circa il 10% dalle proteine.

Fondamentale sarà il ruolo del pediatra, il cui compito è quello di verificare nel tempo la condotta nutrizionale dei piccoli pazienti, coinvolgendo attivamente i genitori, illustrando i rischi a breve e lungo termine che provoca un’alimentazione scorretta fin dalle prime epoche di vita, soprattutto per la prevenzione di malnutrizione e NCDs.

Per visionare il documento: http://www.salute.gov. it