La storia di Claudio

Il mio turno non è ancora finito, la mia partita non è ancora conclusa. Ecco Claudio, accompagnato dai suoi genitori, che lo reggono mentre a fatica scende dalla macchina, sbandando come un ubriaco e proteggendosi l’orecchio con un fazzoletto. Claudio è un ragazzotto di tredici anni, quasi più alto di me. Mi racconta che la sera prima, nel suo primo veglione da “grande”, a casa di amici, volevano solo divertirsi a far scoppiare sul terrazzo tutti quei botti che Marco, l’amico di sempre, aveva comprato per strada. È confuso, ha paura del rimprovero di mamma e papà, che invece sono lì a sostenerlo come hanno fatto tante volte nei suoi primi passi. Ora racconta e me di quel momento, quel botto che è scoppiato quando non doveva, quel dolore come una pugnalata, quel fischio che non finiva mai, le voci dei suoi amici che cambiavano tono e direzione, quella paura di cadere che ancora non lo aveva abbandonato. Per poi piangere come forse non faceva da tanto tempo. Asciugo quelle lacrime, scherzo con lui per il suo improbabile ciuffo e finiamo per parlare di calcio, mentre cerco di dosare ogni parola per adattarmi al suo nuovo modo di sentire. Anche Claudio inizia il suo viaggio, con me ad accompagnarlo, verso nuovi limiti e una diversità che forse imparerà ad accettare, che di certo sarà ormai parte di lui.