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Disturbi dell’udito in età pediatrica: come individuarli
Dott. Pasquale Marsella
Responsabile U.O.C. Audiologia ed Otochirurgia Direttore Centro di Riferimento Regionale per le Sordità Neonatali & Centro Impianti Cocleari e Protesi Impiantabili, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” – I.R.C.C.S.
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Stando a questo dato, i minori con sordità nel Lazio sarebbero circa 2 mila. Per quanto riguarda il dato nazionale, invece, secondo l’Istat nascono in media 500 bambini con ipoacusia neurosensoriale e quindi i minori con sordità nel nostro paese sarebbero circa 23 mila. In 1 caso su 4, tale riduzione dell’udito è tanto grave da pregiudicare il normale sviluppo del linguaggio.
Per permettere a chi soffre di questo problema di ricevere cure tempestive, nei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) è stata disposta l’introduzione in tutto il territorio nazionale dello screening neonatale per la sordità congenita.
Il vantaggio dell’implementazione di un programma di screening neonatale consiste infatti nella possibilità di effettuare una diagnosi precoce di sordità congenita. In assenza di screening uditivo neonatale, ci si accorge di tale condizione soltanto più tardi, ossia quando il bambino manifesta già un ritardo nell’acquisizione del linguaggio verbale. Al contrario, una diagnosi precoce permetterà una riabilitazione tempestiva del deficit uditivo.
Indipendentemente dalla causa (mutazione genetica, infezione virale, sofferenza perinatale, prematurità, etc.), la sordità neurosensoriale consiste in un cattivo funzionamento della coclea, la porzione dell’orecchio interno deputata a convertire le onde sonore in impulsi elettrici, che viaggiano poi verso il cervello per essere decodificati. Di conseguenza, il neonato con una coclea non funzionante non è in grado di udire stimoli sonori di alcun tipo, anche se inviati a elevate intensità.
Grazie agli avanzamenti della medicina e della tecnologia, oggi è possibile restituire ai piccoli pazienti affetti da sordità un udito molto vicino a quello normale, evitando l’insorgenza di disturbi del linguaggio e, nei casi di sordità profonda, di quella condizione che era nota in passato come sordomutismo.
La buona riuscita del trattamento presuppone la precocità della diagnosi e della terapia, che deve essere iniziata in epoca pre-linguale, cioè entro il periodo in cui si realizza l’apprendimento del linguaggio: idealmente prima dei 2 anni d’età.
Quando si esegue lo screening uditivo
Il primo controllo dell’udito, in accordo con le nuove direttive della Regione Lazio, va eseguito obbligatoriamente subito dopo la nascita, prima delle dimissioni dal reparto di maternità. In caso di mancata risposta, lo screening viene ripetuto entro il primo mese di vita del neonato. Se la risposta è ancora assente, si procede entro il terzo mese di vita con i dovuti approfondimenti presso i centri specialistici di II e III livello.
I centri di terzo livello prendono quindi in carico i bambini con esito dubbio alle valutazioni di I e II livello, si occupano della definizione del problema di cui il bambino soffre, nonché del trattamento e del reindirizzamento alla medicina territoriale per il follow up.
La definizione diagnostica di sordità congenita andrebbe fatta quindi, idealmente, tra i 3 e i 6 mesi di vita, in modo tale che sia possibile impostare un trattamento precoce.
La fase diagnostica portata avanti in questi centri selezionati non si esaurisce solo nell’individuazione del problema di udito ma riguarda anche l’inquadramento generale della situazione del bambino, un’attività particolarmente importante soprattutto nei casi complessi, come ad esempio in caso di pazienti con patologie associate, con problemi di definizione della diagnosi per la compresenza di problemi neurologici o neuropsichiatrici, bambini con patologie cardiache, trapiantati di cuore, di reni, pazienti con quindi con diversi tipi handicap che richiedono un inquadramento multidisciplinare.
La presenza di una comorbidità associata, infatti, complica non solo l’outcome funzionale, ma anche l’affidabilità delle valutazioni audio-logopediche strutturate. La valutazione dell’udito in questa categoria di bambini prevede infatti una batteria articolata di valutazioni pluri-specialistiche (audiologiche, audioprotesiche, neuroradiologiche, logopediche, neurologiche, psicologiche, neuropsichiatriche, etc) sia oggettive che soggettive, in cui viene richiesto un certo grado di collaborazione (raggiungibile solamente nell’ambito di una presa in carico “globale”). Dunque, è di fondamentale importanza affidare questo aspetto diagnostico-terapeutico a strutture di riferimento della gestione delle sordità infantili.
Come si esegue lo screening uditivo
L’esame della funzione uditiva in un bambino è un compito non facile per la mancanza di collaborazione dei piccoli pazienti e per il disinteresse dei bambini per gli stimoli acustici comunemente utilizzati in audiometria. D’altra parte non è possibile attendere l’età in cui il bambino collabora in maniera soddisfacente all’esecuzione dei test audiometrici comunemente utilizzati nell’adulto poiché la diagnosi precoce di un difetto uditivo è di fondamentale importanza per un adeguato sviluppo della comunicazione uditivo-verbale. Per questo motivo esistono ormai da molti anni test oggettivi della funzione uditiva che possono essere effettuati anche nei primi giorni di vita.
Gli esami di screening uditivo possono essere distinti in tre livelli. Il primo livello è rappresentato dalle otoemissioni acustiche evocate da transienti. Questo test deve essere eseguito durante il sonno spontaneo del neonato. È caratterizzato da un’elevatissima sensibilità, permettendo di individuare tutti i pazienti con sospetto deficit uditivo. Consiste nell’inviare all’orecchio del bambino stimoli sonori e nel registrare la risposta dell’orecchio a tali stimoli. Quando gli stimoli sonori arrivano alla coclea, infatti, quest’ultima li traduce in impulsi elettrici per il cervello e nel far questo emette a sua volta dei suoni che possono essere registrati.
Il test si esegue utilizzando una piccola sonda rivestita da un tappo in gomma che emette suoni e al contempo registra i suoni emessi dalla coclea. Lo strumento fornisce il risultato PASS se ha ricevuto il suono emesso dalla coclea, oppure REFER se non l’ha ricevuto. I bambini senza fattori di rischio audiologico che superano il test (PASS) sono certamente dotati di una normale funzione uditiva, mentre i bambini che risultano REFER, ossia che non superano il test, necessitano di approfondimento diagnostico attraverso l’ABR: potenziali evocati uditivi del tronco encefalico. L’ABR prevede l’invio di uno stimolo sonoro all’orecchio e la registrazione dell’attività elettrica che questo evoca nelle vie uditive. L’esame può essere somministrato in forma rapida (ABR automatico, screening di II livello) oppure, qualora l’ABR automatico non risultasse sufficiente, in modo completo (screening di III livello), vale a dire inviando stimoli sonori di intensità crescente fino a definire una stima elettrofisiologica della soglia uditiva. In quest’ultimo caso, l’ABR permette di quantificare la natura e il grado dell’ipoacusia, e quindi di arrivare ad una diagnosi di certezza.
Contestualmente a tutti i test di valutazione della soglia uditiva, a tutte le età è possibile eseguire accertamenti oggettivi che permettono di studiare la funzionalità della membrana del timpano e della catena di ossicini dell’orecchio. Questi accertamenti sono noti complessivamente come impedenzometria. Essi sono particolarmente utili nello studio di patologie di comune riscontro nei bambini, quali l’otite media essudativa e il catarro tubarico.
Se la sordità è tardiva o progressiva
L’esame delle otoemissioni acustiche permette di individuare tempestivamente le forme di sordità presenti già alla nascita, ma in alcuni casi il problema potrebbe insorgere nei mesi e o negli anni successivi, oppure il bimbo potrebbe soffrire di una sordità progressiva per cui la situazione peggiora nel tempo. I limiti dello screening uditivo neonatale infatti, sono rappresentati dall’impossibilità di identificare le ipoacusie neurosensoriali di grado lieve già presenti alla nascita e le sordità ad esordio tardivo. È noto che tre bambini su 1000 sviluppano una ipoacusia neurosensoriale dopo aver superato lo screening uditivo neonatale.
Per tale ragione, è di fondamentale importanza, nella prima raccolta anamnestica (ovvero, il colloquio con il clinico che esegue o referta il test di screening, o con il pediatra di famiglia che ha in cura il bambino), individuare la presenza di tutti quei fattori di rischio che impongono di proseguire una sorveglianza audiologica anche in caso di “PASS” alle otoemissioni acustiche.
Gli indicatori di rischio per le sordità ad esordio tardivo, descritte dalla Joint Committee on Infant Hearing, sono rappresentati per lo più dai seguenti fattori:
- Preoccupazione/dubbio da parte dei genitori
- Ritardo dello sviluppo del linguaggio/comunicazione
- Familiarità per ipoacusia neurosensoriale infantile
- Sindromi genetiche
- Ricovero in Terapia Intensiva neonatale per più di 5 giorni con necessità di assistenza ventilatoria o circolazione extracorporea
- Infezioni congenite, come CMV, HSV, rosolia, sifilide, toxoplasmosi
- Infezioni acquisite, come meningiti batteriche e virali, morbillo, parotite
- Esposizione a farmaci ototossici
- Iperbilirubinemia che necessiti di plasmaferesi
- Traumi cranici con fratture del basicranio
- Sindromi neurodegenerative (es. sindrome di Hunter, Charcot-Marie-Tooth)
Ogni bambino con indicatori di rischio per ipoacusia progressiva o ad insorgenza tardiva che ha superato lo screening alla nascita dovrebbe quindi ricevere un monitoraggio audiologico ogni 6 mesi fino ai 3 anni di vita, anche in presenza di un regolare sviluppo del linguaggio.
In tutti gli altri casi, per quei bambini che non presentano fattori di rischio e che hanno ottenuto un esito negativo in occasione dello screening neonatale, resta solo l’arma dell’osservazione, un’arma che però risulta un po’ spuntata, in quanto per una mamma è molto difficile accorgersi se c’è un problema di udito nel primo anno di vita del bambino. La profonda comunione tra madre e figlio fa sì che la loro comunicazione, fatti di gesti, sguardi, espressioni, non abbia bisogno del canale verbo-acustico. In linea generale, infatti, non ci si attende che siano i genitori ad essere chiamati ad accorgersi di un problema uditivo, poiché non è assolutamente facile accorgersene, soprattutto nella primissima età. È il Sistema Sanitario a doversene occupare, attraverso lo screening audiologico alla nascita (per i bambini nati sordi) e con la vigilanza del pediatra (per chi manifesta problemi di udito ad insorgenza nei primi anni di vita) che deve prontamente far fare gli approfondimenti del caso appena ha il sospetto che il paziente soffra di ipoacusia. Per tutti i neonati infatti, la normale sorveglianza del raggiungimento delle “pietre miliari” dello sviluppo psico-fisico e comunicativo-linguistico dovrebbe essere eseguita regolarmente dal pediatra di famiglia. Tutti i bambini dovrebbero avere uno screening obiettivo dello sviluppo globale con una valutazione standardizzata e validata a 9, 18 e 24-30 mesi di età, o in qualsiasi momento se il clinico o la famiglia nutre preoccupazioni.
Quando sospettare un disturbo dell’udito
In presenza di un problema di udito non trattato, il bambino presenterà un ritardo e uno sviluppo atipico della comprensione e della produzione del linguaggio, tanto più grave quanto più è grave la perdita uditiva. La precocità della diagnosi gioca un ruolo fondamentale per impedire che il cervello plastico del bambino si riorganizzi, destinando le aree deputate all’elaborazione uditiva del linguaggio ad altri sistemi. Senza feedback uditivo i bambini sordi non sviluppano la lallazione nei tempi e nei modi dei bambini udenti; si dimostrano anche più lenti dei coetanei nell’aumentare il numero di sillabe prodotte; non arrivano a possedere spontaneamente tutti i suoni consonantici e continuano ad avere difficoltà nel pronunciare le parole per un lungo periodo.
Premesso tuttavia che l’osservazione dei genitori può risultare un po’ ingannevole, e che spesso sono le altre persone vicine al bimbo, come i nonni o l’educatrice del nido, ad accorgersi che non sente bene, ci sono alcuni segnali che non devono essere trascurati.
Ad esempio, alcuni campanelli di allarme circa l’esistenza di un problema di udito anche in epoca molto precoce (es: già a partire dagli 8 mesi) possono essere i seguenti:
- Volta la testa e/o sbatte le palpebre in reazione a un suono improvviso?
- Si sveglia se durante una fase di sonno leggero viene prodotto un rumore forte?
- Si volta quando sente suoni familiari? (es: il campanello, la voce di una persona nota)
- Presta attenzione quando gli parlate? (es: quando lo richiamate e gli dite “no” smette di fare quello che stava facendo)
- Se nominate un oggetto o una figura (senza indicarli) il bambino prende o vi indica la cosa nominata?
- Se gli date un ordine semplice (es. chiudi la porta senza indicarla), esegue l’azione richiesta?
- Comprende frasi anche più complesse (es. prendi la palla e tirala al bimbo)
- Si mostra interessato quando raccontate una favola?
In presenza di un segnale che possa far pensare a un problema uditivo, non conviene aspettare, perché un ritardo nella diagnosi corrisponde a un ritardo nella soluzione del problema con conseguenze negative anche a livello di sviluppo del linguaggio. Un otorino pediatrico indicherà ai genitori l’esame più adatto in base all’età del piccolo. Il test audiometrico comportamentale, condotto da personale esperto, non è assolutamente invasivo o fastidioso, anzi per il bambino è come un gioco, ma permette di confermare o escludere la presenza di un problema di udito.
Quando la sordità è temporanea
In alcuni casi, il bimbo non sente bene, ma la coclea è perfettamente funzionante. Ciò si verifica quando c’è un impedimento che interferisce con il trasferimento dell’onda sonora verso l’orecchio interno, e si definisce ipoacusia trasmissiva. In questi casi, lo coclea è perfettamente funzionante, ma qualcosa impedisce al suono di raggiungerla.
Un caso emblematico è il tappo di cerume. Il cerume è una sostanza oleosa che è normalmente prodotta dalla pelle che ricompre il condotto uditivo esterno. Il cerume svolge molte funzioni importanti: aiuta a proteggere il timpano e il condotto uditivo poiché, formando un rivestimento impermeabile, tiene asciutto il condotto impedendo ai germi di causare infezioni; serve inoltre per catturare polveri e altre particelle che potrebbero danneggiare il timpano. Nella maggior parte dei casi, non è necessario fare qualcosa per rimuovere il cerume dalle orecchie dei bambini e, generalmente, il bagno è sufficiente per mantenere una quantità normale di cerume nel condotto uditivo. Sebbene alcune persone producano più cerume di altre, in generale, l’orecchio ne produce di norma solo nella quantità di cui ha bisogno. Solo raramente un’eccessiva produzione di cerume può interferire con l’udito e causare dolore; in questi casi si dovrà procedere alla sua rimozione, con successivo ripristino della normale funzione uditiva.
Un altro esempio di ipoacusia trasmissiva estremamente comune in età pediatrica è l’accumulo di catarro nell’orecchio medio. L’effusione endotimpanica – quindi l’otite media effusiva – si verifica nel momento in cui la tuba di Eustachio si blocca, con conseguente accumulo di liquidi nell’orecchio medio. Nei bambini ciò si verifica con particolare frequenza per l’ingrossamento delle adenoidi, formazioni a grappolo costituite da tessuto linfoide situate sulla parete posteriore della rinofaringe (dietro al naso). L’otite media effusiva solitamente non è dolorosa per il bambino. I sintomi più comuni sono problemi di udito che si manifestano con l’aumento del volume della TV o richieste di ripetizione come “Eh? Che cosa?”, oppure disattenzione o facile distraibilità. Se le condizioni del bambino non migliorano da sole, si può ipotizzare di ricorrere ad un intervento chirurgico per drenare il catarro (drenaggio transtimpanico): si tratta di un intervento in anestesia generale che si esegue con l’ausilio di un otomicroscopio; consiste nel fare un piccolo taglio sulla membrana timpanica, aspirare il fluido e nell’applicare un “drenaggio”, vale a dire un microscopico tubicino di silicone. Il tubicino rimarrà in posizione nei mesi o negli anni successivi all’intervento creando una comunicazione tra cassa del timpano e ambiente esterno e consentendo una buona ventilazione dell’orecchio medio. L’udito del bambino in genere migliora immediatamente.
Per le ipoacusie trasmissive dovute invece alle patologie infettive e malformazioni dell’orecchio medio, gran parte di queste però possono essere risolte chirurgicamente. Ad esempio per le otiti medie croniche (sia semplici sia colesteatomatose) si ricorre alle timpano-ed ossiculo-plastiche.
Quando la sordità è permanente
Quando il danno a carico del sistema uditivo interessa la coclea, ovvero l’orecchio interno, il danno che ne consegue è permanente. La maggior parte delle ipoacusia neurosensoriali riconoscono una origine genetica. Nel 50% dei casi il problema si manifesta alla nascita, per il 30%, invece, l’insorgenza è tardiva. I bambini sordi per cause non genetiche rappresentano il 15-20% del totale; in questi casi il problema insorge a seguito infezioni materne prima della nascita (ad esempio il citomegalovirus), infezioni perinatali, cioè contratte dal neonato durante il parto o sofferenze perinatali (ad esempio l’ipossia o l’ittero), infezioni post-natali (come parotite o meningite). Queste sono tutte problematiche che molto spesso si verificano in epoca prelinguale (cioè quando il bambino non ha iniziato a parlare) e quindi, in assenza di un percorso riabilitativo, il bambino colpito diventa sordomuto.
Tuttavia, il progresso delle conoscenze e della tecnologia hanno drasticamente modificato l’evoluzione naturale di questo disturbo e le importati implicazioni a livello comunicativo-linguistico, e si può affermare che oggi un bimbo che soffre di sordità neurosensoriale, presente sin dalla nascita o che si manifesta negli anni della crescita, può arrivare ad avere un udito normale.
La scelta del tipo di riabilitazione uditiva dipende dalla gravità della ipoacusia neurosensoriale che ha il paziente. Le ipoacusie vengono distinte in 4 livelli: lievi, medie, gravi e profonde. Mentre le prime due possono essere gestite grazie alle protesi acustiche, per le restanti si ricorre all’impianto cocleare, dopo aver dimostrato l’inefficacia della protesi acustica.
Comunemente detto orecchio bionico, l’impianto cocleare è una protesi per l’udito in grado di sostituire completamente la funzione della coclea, organo dell’orecchio interno deputato alla conversione delle onde sonore in impulsi elettrici destinati alle vie uditive. L’impianto cocleare consta di una componente interna e di una esterna. La componente interna è a sua volta costituita da un sottilissimo filo metallico con svariati elettrodi che si inserisce nella coclea del paziente, e da un magnete che viene posizionato sotto la pelle, al di sopra del padiglione auricolare. La componente esterna è rappresentata da un processore del linguaggio, simile a una protesi acustica, e da un secondo magnete. Il processore del linguaggio è un sofisticato dispositivo che riceve le informazioni sonore dall’ambiente, le digitalizza, le elabora secondo le istruzioni con cui è stato programmato e le trasmette alla componente interna attraverso un sistema di comunicazione a radiofrequenze. L’accoppiamento tra le due componenti (esterna ed interna) avviene attraverso la cute integra per accoppiamento tra il magnete interno e quello esterno. L’impianto cocleare è indicato in tutti i pazienti affetti da sordità profonda bilaterale, presente dalla nascita o acquisita nel corso della vita, ai quali le protesi acustiche non sono in grado di garantire un adeguato accesso al mondo dei suoni. Un bambino con sordità profonda che non riceve un impianto cocleare, con grande probabilità non avrà un adeguato canale di comunicazione uditivo-verbale e, pertanto, non sviluppando un linguaggio adeguato, dovrà adottare strategie comunicative differenti, quali la comunicazione gestuale della Lingua dei Segni. L’intervento chirurgico in anestesia generale viene eseguito da uno specialista in Otorinolaringoiatria con provata esperienza nella microchirurgia dell’orecchio in campo pediatrico. Esso prevede un piccolo taglio retroauricolare, attraverso cui è possibile per il chirurgo accedere all’orecchio interno (coclea) per posizionarvi il filo porta-elettrodi. Il magnete interno viene intascato al di sotto della cute della regione parietale. Una volta guarita la ferita chirurgica (all’incirca 10-15 giorni dopo l’intervento) non vi sono segni della chirurgia visibili all’esterno, e il bambino può riprendere a svolgere tutte le normali attività quotidiane, comprese quelle acquatiche. Non esistono limiti inferiori di età per il posizionamento di un impianto cocleare. Una volta stabilita la diagnosi di sordità ed eseguiti i necessari accertamenti, in assenza di controindicazioni, l’impianto cocleare si può eseguire anche prima che il bambino compia l’anno di vita; generalmente si considera ideale la finestra temporale compresa tra i 12 ed i 18 mesi di vita, quando è massima la plasticità cerebrale, ossia la capacità del cervello di adattarsi e modificarsi all’arrivo degli stimoli sonori. L’impianto cocleare ha rappresentato una rivoluzione nella terapia della sordità neurosensoriale profonda, sia nei pazienti adulti che hanno perduto l’udito nel corso della vita che nei bambini nati sordi. Determinando il ripristino totale dell’udito, l’impianto cocleare permette al piccolo paziente la possibilità di accedere a tutte le informazioni sonore ambientali necessarie per un corretto sviluppo delle abilità uditive e linguistiche. Ciò consente al bambino inserirsi pienamente nel mondo udente.