L’Italia nella morsa della trappola demografica, Staiano: “La denatalità mina le basi del Paese”

All’Accademia dei Lincei un convegno fa il punto sugli aspetti medici e sociali dell’età pediatrica, con focus sul post Covid

“Compito della Società Italiana di Pediatria (SIP) è affrontare non solo gli aspetti sanitari, che riguardano il benessere del bambino, ma anche le problematiche sociali che stanno minando il profilo demografico della nostra popolazione”. Annamaria Staiano, Presidente SIP, lo sottolinea a margine del convegno Aspetti medici e sociali dell’età pediatrica in Italia‘, svoltosi a Roma presso l’Accademia nazionale dei Lincei. “Pochi figli, pochi genitori, o meglio una ridotta popolazione italiana per il futuro. Bisogna attuare subito delle politiche sociali- aggiunge Staiano– volte ad arginare il grave problema della denatalità che sta minando le basi della popolazione italiana”. Nei fatti “il numero dei figli nati per madre si è ridotto e si sta riducendo anche la fecondità delle donne- denuncia la Presidente SIP– di conseguenza questa denatalità aumenta anno dopo anno”. La denatalità, secondo Staiano, va ad associarsi al tema della diseguaglianza sociale, “in quanto in povertà assoluta si pone il problema dell’accesso alle cure da parte dei bambini poveri o delle famiglie povere, e si riduce ancor di più la natalità”. Accanto alla povertà sociale c’è, poi, la questione delle diseguaglianze territoriali, perché “la denatalità, la povertà e l’aumento della mortalità infantile al Sud sono tutti aspetti medico-sociali importanti- conclude Staiano- che aumentano ancora di più con le diseguaglianze territoriali, soprattutto nelle regioni meridionali”.

BAMBINI E QUESTIONE MERIDIONALE – E proprio sulle diseguaglianze territoriali si è concentrato l’intervento di Mario De Curtis, Presidente del Comitato per la Bioetica della SIP: “I bambini e i ragazzi del Mezzogiorno vivono una situazione molto critica da un punto di vista sanitario, sociale ed educativo. E’ necessario assicurargli adeguate opportunità di crescita, di cure e di formazione scolastica- ha sottolineato il neonatologo- Migliorare le condizioni sociali dell’infanzia e lottare contro la povertà infantile, economica ed educativa, è una priorità che va messa al centro dell’azione politica affinché ci sia un presente e un futuro per il nostro Paese. Una delle sfide che l’Italia ha davanti è proprio quella di ridurre i divari e oggi il Mezzogiorno è la sfida per avere un Paese più giusto e più equo”. De Curtis evidenzia poi come “le disuguaglianze nella qualità della vita dipendono in primo luogo dalla latitudine, iniziano già al momento della nascita e si rendono più manifeste con la crescita e nell’età adulta. Gli aspetti più critici che interessano i bambini e i ragazzi del Mezzogiorno- rimarca il presidente del Comitato per la Bioetica Sip- riguardano in particolare lo stato di salute, la situazione sociale e la formazione scolastica”.

MORTALITA’ INFANTILE – Profonde differenze tra il Nord e il Sud del Paese esistono anche per quanto riguarda la mortalità infantile. “Gli ultimi dati Istat, relativi al 2018, hanno messo in evidenza in Italia un tasso di mortalità infantile di 2,88 per 1000 nati vivi- ricorda De Curtis– Anche se questo dato è tra i più bassi del mondo, continuano a persistere profonde differenze con tassi di mortalità infantile più elevati ed inaccettabili nelle regioni del Mezzogiorno dove si sono avuti il 35,7% di tutti i nati ma il 45% di tutta la mortalità infantile in Italia. Un bambino residente nel Mezzogiorno ha un rischio del 50% in più di morire nel primo anno di vita rispetto ad uno che nasce nelle regioni del Nord- evidenzia il presidente del Comitato per la Bioetica Sip – Se il Mezzogiorno avesse avuto lo stesso tasso di mortalità infantile delle regioni del Nord, nel 2018 sarebbero sopravvissuti 200 bambini”.

RISTRUTTURAZIONE SSN – E il tema della mortalità infantile passa anche per l’organizzazione del Sistema sanitario nazionale, come sottolinea il premio Nobel per la Fisica, Giorgio Parisi, nel corso del convegno. “Abbiamo l’impressione che il nostro Sistema sanitario sia più che soddisfacente ma si è visto, sia prima che durante l’epidemia da Covid-19, che ci sono luci ed ombre. Le sacche mal funzionanti, ad esempio, riguardano gli ospedali con meno di 500 nascite l’anno, che mettono a rischio la salute dei bambini. La ristrutturazione sanitaria deve partire dal ristrutturare proprio le strutture piccole, che potrebbero diventare i centri di primo contatto con il territorio. Non vanno chiusi, ma le nascite devono avvenire in strutture attrezzate”. Parisi aggiunge che “i medici devono avere le capacità di intervenire correttamente ma le competenze si acquisiscono con una frequente ripetizione delle stesse operazioni”. Parlando di natalità, la prognosi peggiore che “vede nelle regioni meridionali un tasso più alto di mortalità infantile rispetto al Nord e al Centro, corrisponde a un numero considerevole di morti infantili che si potevano evitare con delle strutture migliori. Morti di bambini appena nati o gravidanze non portate a termine- conclude Parisi- sono disastri che investono altamente le famiglie. È un problema che deve essere portato davanti ai decisori politici”.

DENATALITA’ – Di certo la pandemia ha reso ancora più complicata una situazione già difficile, a partire dal calo delle nascite. “Abbiamo un problema di natalità decrescente che continua anche per effetto della pandemia Covid-19. Come non pensare che non dipenda dalla struttura della società italiana?- chiede Parisi- L’Italia non è un paese per giovani, tanto che la migrazione italiana è ampia, sostanziosa e costante e riguarda persone con un’alta formazione professionale. Una coppia, per decidere di fare un figlio, vuole avere la sicurezza economica- ribadisce il Nobel per la Fisica- ma questa precarietà del lavoro nel mondo giovanile che è a macchia d’olio in Italia, ha avuto conseguenze dirette”. La pandemia ha poi “causato una crisi economica parzialmente tamponata da provvedimenti governativi- continua Parisi- che non hanno avuto riflessi importanti”. Senza dimenticare gli “effetti dell’epidemia sulla popolazione pediatrica che si incrocia con i diritti dei bambini non rispettati: un enorme problema etico da parte delle istituzioni. Il Covid-19 ha inciso sui rapporti familiari e le interruzioni delle scuole hanno modificato i rapporti dei bambini nello stare insieme alla famiglia. La ‘scienza della politica della salute’ è adesso fondamentale- conclude- per considerare gli aspetti medici e sociali della età pediatrica”.

Ma se per Parisi l’Italia non è un Paese per giovani, per Letizia Mencarini, professore ordinario in Demografia presso l’università Bocconi di Milano, “il nostro non può essere neanche un Paese per vecchi perché se i giovani non stanno bene non riescono a formare una famiglia”. E dunque si mette a repentaglio il futuro. “Senza investire sui giovani si minano le basi per chi diventerà anziano”, sottolinea ancora Mencarini. “L’Italia è in una trappola demografica, quello che succede oggi avrà una lunga eco negli anni futuri. C’è una spirale di decrescita inerziale della popolazione- spiega l’ordinaria di Demografia- dalla bassa fecondità nascono pochi figli e, dopo una generazione, questi pochi figli diventano pochi potenziali genitori che a loro volta faranno pochi figli”.

Secondo gli ultimi dati Istat, infatti il numero medio di figli per donna continua a scendere arrivando nel 2019 a 1,27 per il complesso delle donne residenti nel Paese. Era 1,29 nel 2018 e 1,46 nel 2010, anno di massimo relativo della fecondità.

“Ogni anno in Italia le madri fanno figli sempre più tardi ed è una tendenza che sembra non fermarsi- e meno figli vuol dire anche una diminuzione della popolazione”. I numeri lo raccontano. “Nel 2015 eravamo quasi 61 milioni di abitanti (60.796.000) nel 2021 siamo arrivati a poco più di 59 milioni (59.258.000)”, evidenzia Mencarini.

La spirale di decrescita “si può spezzare ma servirebbero dei numeri molto più alti, bisognerebbe arrivare a 1,80 figli per donna- evidenzia la professoressa di Demografia- dal punto di vista della politica non c’è una misura che può ovviare a questo, servono tutta una serie di interventi che rendano la società family friendly”.

Per il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, le azioni da intraprendere per frenare la caduta demografica sono innanzitutto quelle di “garantire i migliori servizi possibili ai bambini che nascono e indurre nuove nascite”. Intervenuto al convegno all’Accademia dei Lincei il ministro ha sottolineato: “Stiamo investendo con i fondi del Pnrr per ripensare una nuova geografia dei servizi a favore delle donne e dei bambini. È vero che in alcune zone del Paese abbiamo servizi per l’infanzia ottimi, ma dobbiamo alzare il livello nazionale- ha spiegato Bianchi- dobbiamo cominciare a immaginare le questioni demografiche fondamentali per lo sviluppo. Diventa necessario rigenerare le condizioni per poter permettere ai nostri giovani di avere figli in un’età adeguata. È un problema che riguarda tutte le politiche del Paese, non solo quelle dell’infanzia. Bisogna continuare a sviluppare l’idea di un’azione politica che riguarda tutta la vita dei cittadini”.

In conclusione, Bianchi ha ringraziato la Società Italiana di Pediatria “che ci ha permesso di ripartire in sicurezza e ci sta aiutando a disegnare la scuola per la prima infanzia”.

Di Italia “bomba demografica a orologeria, come il Giappone”, parla Walter Ricciardi, direttore del dipartimento della Salute della donna del bambino e di sanità pubblica della Fondazione Policlinico universitario Gemelli, IRCSS Università Cattolica del Sacro Cuore. “Sono Paesi che hanno basse natalità e fertilità, nonché un aumento dell’aspettativa di vita e della longevità che porta ad un inaridimento: la società non riesce più a sostenersi e ad autoperpetuarsi- dice Ricciardi- La Politica deve intervenire perché la Scienza mette a disposizione dei decisori politici tutte le evidenze possibili. Siamo già i ritardo, dovrebbe farlo subito. Siamo a un punto di non ritorno sulla numerosità della popolazione. Dovremmo far immigrare milioni di persone per rendere il paese sostenibile- afferma Ricicardi- però questo è un argomento tabù che addirittura provoca il suicidio delle società. Guardiamo la Brexit, ci vuole equilibrio: immigrazione e aumento della natalita. In questo secondo caso bisogna che le famiglie siano in grado di essere tranquille e non entrare a rischio povertà nel momento in cui fanno un figlio”, aggiunge Ricciardi.
Per stimolare la fertilità e la natalità, il membro dell’Executive Board dell’Oms, guarda all’occupazione femminile: “La politica dovrebbe supportare il lavoro delle donne. Si è visto che è facendo lavorare le donne che si aumenta la fertilità. Tutti i paesi che hanno avuto successo, hanno garantito alle donne sicurezza, flessibilità e servizi a supporto della gravidanza e maternità. Hanno sviluppato un mondo che agevola la nascita dei bambini- continua il membro dell’Executive Board dell’Oms- e non la scarica sulle spalle delle famiglie, soprattutto quelle più giovani che hanno maggiormente sofferto in pandemia”.

Dunque vanno messe in campo, secondo Ricciardi, “un insieme di politiche del lavoro, fiscali e del welfare. In Italia, invece, si insiste su una frammentazione di queste politiche, e nessuna di queste è soddisfacente, o funziona bene da sola. Bisogna cambiare ma siamo in ritardo”. Sul tema c’è  una attenzione che “non si traduce in decisioni operative, piuttosto in dibattiti congressuali. Adesso, però, è necessario farlo perché il paese si sta insterilendo . La politica deve agire”.

Secondo Antonella Polimeni, rettrice dell’università ‘La Sapienza’ di Roma, “il problema della denatalità va affrontato con politiche che mettano al centro le donne, i giovani e la famiglia. “Le istituzioni- dice- devono costruire un sistema integrato per favorire l’occupazione, soprattutto femminile, con strumenti che consentano di conciliare vita e lavoro per favorire la genitorialità. E poi-sottolinea ancora Polimeni- bisogna puntare sulla formazione, unica opportunità per consentire ai giovani di scegliere il proprio futuro, soprattutto nei contesti più svantaggiati. Le riflessioni devono trasformarsi in azioni”.

EFFETTO COVID- La rettrice della Sapienza sottolinea poi come la denatalità insieme “all’aumento dell’obesità, della ludopatia e del cyberbullismo sono tutti aspetti medici e sociali che la pandemia e le conseguenti misure di contenimento hanno aggravato”. L’aumento di peso, in particolare “è uno dei temi più rilevanti conseguenti alla pandemia- evidenzia Polimeni- secondo gli studi è aumentato di peso ben il 40% della popolazione italiana. In particolare i soggetti già obesi nel confronto tra pre e post pandemia hanno preso circa 4 kg. E il problema riguarda anche l’obesità infantile”.

E così anche Alberto Villani, Past President SIP, sottolinea nel corso del suo intervento come con la pandemia siano aumentati i disturbi del comportamento, in particolare alimentare, in bambini e adolescenti. “L’ospedale pediatrico Bambino Gesù (Opbg) presta assistenza anche sull’anoressia, e in questi casi l’interessamento neuropsichiatrico e psicologico in età pediatrica avviene quando c’è un minorenne con un indice di massa corporea al di sotto di 13- spiega il pediatra- Per capire l’impennata dei casi, va considerato il dato dei giorni di degenza nel reparto di Pediatria Generale: su 30 posti letto prima della pandemia bambini e adolescenti ne occupavano due o tre, ora più della metà”. Ma una impennata di ricorsi ai Pronto Soccorso si è verificata anche per “bambini con ideazione sucidiaria e autolesionismo. Questo in tutto il mondo”, conclude Villani.

MALATTIE RARE – L’assistenza ai bambini con malattie rare è un altro dei temi affrontati nel corso del convegno, argomento su cui ha fatto il punto Domenica Taruscio, direttrice del Centro nazionale malattie rare dell’Istituto superiore di sanità. “Il 40% di tutte le malattie rare, secondo il registro nazionale delle Malattie rare dell’Istituto superiore di Sanità (Iss), colpisce l’età pediatrica e in questo ambito la parola chiave è condivisione. Dobbiamo condividere conoscenze, informazioni scientifiche, dati dei pazienti con il consenso informato e la possibilità di avviare attività di squadra con i colleghi a livello interdisciplinare e multidisciplinare. Dobbiamo condividere il know how, dal sospetto diagnostico alle più raffinate terapie”. Una malattia rara è “pochissimo conosciuta, poi ci sono quelle rarissime, e pochissimi sono gli esperti a livello nazionale e internazionale. In questa modalità di condivisione, anche attraverso piattaforme tecnologiche innovative, si muovono conoscenze e si facilita la condivisione dei dati senza spostare il paziente da una città all’altra o da un paese o, addirittura, continente all’altro”. Taruscio ricorda che “il 20% di tutte le malattie rare sono senza diagnosi e, per far fronte a questo problema- spiega- abbiamo istituito un network internazionale per lo studio delle malattie senza diagnosi, nato dalla libera associazione di ricercatori, medici, bioinformatici, biologi e pazienti di 39 paesi in tutti i continenti del mondo. È un salto di qualità per studiare, fare diagnosi e una ricerca su queste patologie che non sia solo eziologica e patogenetica, ma anche- conclude- sulla qualità di vita”.