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Una nuova forma di immunodeficienza
Identificare il difetto genetico consente di dare un nome ed un cognome ad una specifica forma di immunodeficienza primitiva
Articolo pubblicato su Pediatria – numero 9 –settembre 2021 – pag. 28
È stato identificato il difetto genetico di una nuova forma di immunodeficienza caratterizzata dal mancato sviluppo dei linfonodi. Il lavoro, frutto di una collaborazione tra la Clinica Pediatrica del Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali dell’Università degli Studi di Brescia e dell’ASST Spedali Civili di Brescia e il Children’s Hospital di Boston è stato pubblicato su “Science Immunology” (17 Settembre) ed ha come principali autori da parte italiana il prof. Alessandro Plebani e il prof. Vassilios Lougaris e da parte americana il prof. Raif Geha e la prof.ssa Janet Chou.

da sinistra: Janet Chou, Alessandro Plebani, Raif Geha, Vassilios Lougaris durante una visita a Boston
“Si tratta di una paziente– commenta Plebani– giunta alla nostra osservazione parecchi anni fa, che presentava un quadro clinico ed immunologico compatibile con una ipogammaglobulinemia comune variabile (CVID), ma che a differenza delle forme classiche di CVID non presentava tessuto linfoide periferico. L’anatomopatologo, cui avevamo inviato materiale linfonodale inguinale da esaminare, ci rispose che non vi riscontrava la presenza neanche di strutture linfonodali primitive. In quegli anni si sapeva che topi mutati nel gene della linfotossina alfa, beta e del recettore della beta non sviluppavano linfonodi. Abbiamo sequenziato questi geni ma con esito negativo. Pur convinti che si trattasse di una nuova forma di immunodeficienza non avevamo idea di quali altri indagini genetiche eseguire: sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio. Con il sequenziamento del genoma umano nel 2001 si sono aperte nuove possibilità di indagini genetiche estensive e durante un convegno ESID, abbiamo esposto il caso al prof. Raif Geha, con il quale avevano già instaurato delle collaborazioni, che si è reso disponibile a sequenziare l’esoma della paziente”.
“È stato così scoperto – continua Lougaris – che la paziente presentava una mutazione missenso in omozigosi per IKKa, una proteina coinvolta nella via di attivazione ‘non canonica’ di NFkB. Ma come collegare questa mutazione con l’assenza del tessuto linfoide secondario? Qui è stato necessario creare topi mutati per la stessa mutazione presente nella paziente. Questi topi, oltre a presentare alterazioni immunologiche e interessamento dei vari organi come nella paziente, mostravano assenza dei linfonodi mesenterici ed inguinali ed anche assenza delle placche del Peyer. Quindi il modello murino era lo specchio di quanto osservato nella paziente”.
“Questa scoperta presenta almeno due aspetti che la rendono importante – concludono gli autori– uno di tipo scientifico: è stato identificato il difetto genetico di una nuova forma di immunodeficienza primitiva ed è stato dimostrato per la prima volta il ruolo di IKKalpha nello sviluppo dei tessuti linfoidi secondari; l’altro, più strettamente di tipo medico ed applicativo: identificare il difetto genetico consente di dare un nome ed un cognome ad una specifica forma di immunodeficienza primitiva e di fornire spiegazioni più esaurienti e definitive ai genitori quando ci chiedono: da che cosa è causata la malattia di mio figlio? Identificare la causa di una malattia consente inoltre di migliorare l’approccio terapeutico e potenzialmente di sviluppare delle strategie terapeutiche più efficaci e, perché no, risolutive. Se si conosce la causa di una malattia, si può intervenire con approcci terapeutici più efficaci, se non la si conosce, si rimane sempre nell’ambito dei tentativi terapeutici o di terapie di supporto”.