Disforia di genere: quello che il pediatra deve sapere

Identità di genere, ruolo di genere e orientamento sessuale sono strettamente intrecciati pur avendo una loro autonomia e interagendo in modo molto complesso

Articolo pubblicato su Pediatria–numero 10-11–ottobre-novembre 2021 – pag. 8

di Pietro Ferrara, Chiara Di Sipio Morgia, Roberto Sacco

Ogni individuo ha un’identità di genere unica e solo lui può definirla. L’identità di genere è ciò che una persona sente interiormente di essere: un maschio, una femmina, un “po’ di entrambi” o nessuno dei due. Tipicamente si sviluppa precocemente nell’infanzia e viene consolidata verso i 3-4 anni. Due concetti che si intrecciano profondamente con l’identità di genere, ma che non devono essere confusi con essa, sono il ruolo di genere e l’orientamento sessuale. Con ruolo di genere ci si riferisce a tutto ciò che si fa per esprimere agli altri l’appartenenza a un determinato sesso, cioè le norme comportamentali associate al genere in un dato sistema sociale, che è in gran parte frutto di consuetudini sociali a cui ci si può conformare o meno. I bambini a cui non piace giocare a calcio oppure le bambine a cui non piace mettere la gonna non si conformano al loro ruolo di genere, ma questo non equivale al non percepirsi come maschi o femmine, rispettivamente. Allo stesso modo non bisogna confondere l’identità di genere con l’orientamento sessuale, ossia l’attrazione emotiva, affettiva e fisica che, in particolare dalla pubertà in poi, si prova verso persone del sesso opposto (eterosessualità), dello stesso sesso (omosessualità) o di entrambi i sessi (bisessualità). Identità di genere, ruolo di genere e orientamento sessuale sono tra loro strettamente intrecciati ma hanno una loro autonomia e interagiscono in modo molto complesso. A volte, l’identità di genere si può sviluppare in modo variante o atipico, ovvero può non coincidere con il genere assegnato alla nascita. Si parla di varianza di genere (VG) o “non conformità di genere” quando l’identità di genere o il ruolo di genere di un individuo differiscono dalle norme culturali comuni per una persona di un determinato sesso. Ci sono bambini e bambine che crescono desiderando un abbigliamento, giochi e attività che non coincidono con lo stereotipo di genere che la società impone loro. Sono bambini e bambine che si esprimono in maniera differente dalla maggioranza, ma non soffrono per essere identificati secondo il loro sesso di nascita. Ciò che invece caratterizza la disforia di genere (DG) è l’incongruenza tra la propria identità di genere e il genere assegnato alla nascita (e il ruolo associato a quel genere e/o a quelle caratteristiche sessuali primarie o secondarie) che si accompagna a sofferenza, malessere e stress. Dal 2013 DG (dal greco δυσ- male + ϕορία- sopportare) ha sostituito la vecchia dizione di “disturbo dell’identità di genere”, con l’obiettivo di focalizzarsi sul distress percepito dall’individuo che vive un’incongruenza tra il sesso biologico e l’identità di genere. La diagnosi di DG si basa sui criteri elaborati dal DSM-5 e uno dei criteri necessari è la presenza di una sofferenza clinicamente significativa o una compromissione del funzionamento sociale, scolastico o in altre aree importanti. Per la diagnosi è necessario che la condizione sia persistente nel tempo, cioè che duri almeno 6 mesi. Gli studi prospettici di follow-up mostrano che l’incongruenza di genere nell’infanzia non persiste invariabilmente nell’adolescenza e nell’età adulta (i cosiddetti desisters). Combinando tutti i risultati degli studi fino ad oggi, l’incongruenza di genere di una minoranza di bambini in età prepuberale sembra persistere nell’adolescenza.

Una realtà sottostimata

In realtà, la DG propriamente detta rappresenta una condizione piuttosto rara e in Italia è stata stimata una prevalenza life-time di 1:12.000 per maschi che vogliono diventare femmine (MtF dall’inglese “Male to Female”) e 1:30.000 per femmine che vogliono diventare maschi (FtMa dall’inglese “Female to Male”). Anche se non sono state pubblicate ricerche formali sull’epidemiologia della DG nell’infanzia, secondo alcuni studi si attesterebbe intorno al 2-3%, ma questa percentuale potrebbe essere sottostimata. Fra gli adolescenti, gli studi su gruppi clinici indicano una prevalenza fra 1 su 7400 e 1 su 100.000 per i maschi e fra 1 su 30.400 e 1 su 400.000 per le femmine, ma anche in questo caso i dati reali potrebbero essere superiori, perché le indagini sono basate soltanto sulle persone che si sono rivolte ai centri specializzati (bias di selezione). Secondo studi prospettici, nella maggioranza dei casi la disforia scompare nel passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza, e rimane solo nel 12%-27% circa dei casi; ma se perdura oltre la pubertà, raramente viene superata e per questo il periodo compreso tra i 10 e i 13 anni di età è considerato di cruciale importanza. La DG nell’età evolutiva è un tema molto complesso perché anche se un bambino o una bambina mostrassero tendenze tipicamente assimilabili alla DG, potrebbero non manifestarle nell’età adolescenziale o adulta e, dunque, c’è da prestare molta attenzione al fattore temporale.

Le caratteristiche della disforia di genere in età evolutiva

La DG in età evolutiva presenta delle specifiche caratteristiche, alcune simili a quelle dell’adulto:

  • affermazioni da parte del bambino o della bambina di essere del sesso opposto;
  • preferenza ad indossare gli abiti del sesso opposto;
  • preferenza verso giochi che prevedono uno scambio di ruolo;
  • preferenza a giocare con dei giochi destinati all’altro sesso;
  • desiderio di essere dell’altro sesso;
  • sviluppo di emozioni negative verso i propri genitali;
  • rifiuto attivo verso giochi ed attività destinate al sesso di appartenenza. 

La DG si presenta in età evolutiva, ma non sempre ha un decorso continuo; ad esempio, può comparire intorno ai 2-3 anni quando cominciano ad emergere i cosiddetti indicatori della disforia, che però non possono rappresentare un criterio diagnostico, oppure possono manifestarsi nella fascia dai 3 ai 5 anni, per poi scomparire per alcuni anni e ricomparire in adolescenza. Proprio a causa di questa potenziale discontinuità della traiettoria è particolarmente difficile fare una diagnosi certa della DG in età evolutiva. Normalmente, le persone cosiddette FtM costituiscono un campione omogeneo, composto da persone che fin dall’infanzia manifestano identità di genere maschile, preferenza per giochi più tipicamente maschili, grande sofferenza e frustrazione rispetto al menarca e orientamento verso persone dello stesso sesso genotipico; al contrario, i soggetti MtF sono descritti come appartenenti ad una categoria più eterogenea che è stata differenziata in due sottotipi sulla base dell’età di esordio e all’orientamento sessuale: possiamo, quindi, identificare gli individui MtF cosiddetti “primari” che mostrano una disforia di genere fin dall’infanzia e sono esclusivamente omosessuali, mentre gli MtF cosiddetti “secondari” evidenziano DG postpubere e riferiscono, talvolta, feticismo da travestimento e l’orientamento sessuale è più variabile. Comunque, nella realtà clinica molti individui MtF si discostano da questo semplice modello bipolare e la disforia ad insorgenza precoce non esclude orientamento non-omogenotipico. Solitamente, i soggetti MtF ad esordio precoce hanno preferenze sessuali per maschi fin dall’infanzia, compagni di gioco femminili, importante disagio relativamente al proprio corpo, associato frequentemente a pervasive difficoltà in ambito relazionale e sessuale. Capire la natura del disagio associato alla DG costituisce parte di un percorso diagnostico complesso e, per alcuni aspetti, più difficile di quello necessario per formulare diagnosi in patologie psichiatriche quali i disturbi dell’umore o i disturbi d’ansia.

Disforia di genere e disturbi neuropsichiatrici

Per quanto concerne il problema della comorbilità psichiatrica diversi studi hanno documentato una associazione significativa tra la DG e i disturbi affettivi e di ansia. Gli studi scientifici hanno documentato che proprio in adolescenza, quando le relazioni con i coetanei possono diventare stigmatizzanti, aumenta il rischio di suicidio nei ragazzi con DG. I fattori associati al rischio di suicidio sono principalmente la depressione, l’ansia, la discriminazione, la violenza e lo stigma, l’abuso di sostanze. Più complessa risulta l’associazione con i disturbi del comportamento alimentare e, soprattutto, con tutte le pratiche tendenti alla modificazione dell’immagine corporea; infatti, molte persone MtF possono iniziare delle diete molto rigide per perdere peso e avere un corpo più femminile e questo può comportare un dis-controllo alimentare e l’insorgenza di condotte di tipo bulimico. Esiste, comunque, una importante differenza sul piano qualitativo tra queste due patologie, perché nei disturbi del comportamento alimentare il nucleo primario è rappresentato da una importante distorsione dell’immagine corporea, mentre nella DG il disagio rispetto al corpo appare essere secondario al bisogno di avere un corpo che assomigli il più possibile all’immagine ideale maschile o femminile. Molto delicato è il tema relativo a come la società reagisce ad una non conformità alla norma; molti transgender manifestano un senso di estraneità e la tendenza a nascondersi per il timore di essere derisi o addirittura umiliati se non aggrediti. Il tasso di aggressioni nel mondo occidentale ai danni delle persone transgender è molto superiore a quello della popolazione generale, con casistiche che raggiungono anche il 40% di prevalenza lifetime. Proprio per sottolineare l’importanza di questo fenomeno è stato proposto il termine di transfobia, riferendosi al disagio emotivo esperito dalle persone nei confronti degli individui non conformi agli stereotipi di genere della società. Negli adolescenti la persistenza in età adulta della DG pare essere maggiore. In uno studio di followup su 70 adolescenti con diagnosi di DG che avevano ricevuto terapia farmacologica per frenare la pubertà, tutti hanno poi proseguito il percorso di riattribuzione di sesso a partire dalle terapie ormonali femminilizzanti/mascolinizzanti. La pubertà è un periodo cruciale per il consolidamento dell’identità di genere e, nel caso di DG nell’infanzia, per la verifica del superamento o della persistenza della DG. Seppur meno frequentemente, la DG può comparire in adolescenza, in relazione alla percezione della mancanza di corrispondenza tra la rappresentazione di sé e l’esperienza del corpo che va modificandosi. In adolescenza, per la pressione sociale e relazionale che si acuisce, è presente dunque un maggiore rischio suicidario nei ragazzi che presentano DG rispetto alla popolazione generale. Un problema sempre più emergente è la difficoltà che bambini e bambine o adolescenti con DG sperimentano nelle relazioni sociali con gli adulti e con i pari, diventando facilmente vittime di persecuzioni e di marginalizzazione. Alcuni studi suggeriscono che ci sia, oltre ad un aumentato rischio di disturbi psichiatrici, maggior rischio di difficoltà nelle relazioni intrafamiliari, di isolamento e rifiuto da parte dei pari, di disadattamento sociale. Questi studi hanno il limite di essere stati condotti sempre su casistiche poco numerose e piuttosto selezionate, e i loro risultati non sono di fatto generalizzabili alla popolazione. È fondamentale per una buona crescita ed un buon inserimento sociale che individui con DG vengano supportati dalle famiglie, dalla comunità e dagli operatori sanitari con cui si interfacciano.

Fenomeno in crescita

I dati epidemiologici ci dicono che il numero di adolescenti che chiedono di poter cambiare sesso è in aumento. Ad esempio, a Torino, soltanto in un anno le richieste si sono raddoppiate; nel 2017 al Centro Interdipartimentale DG dell’Ospedale “Molinette” si erano rivolti 13 minorenni, mentre nell’anno successivo il numero è salito a 25. Il numero di adolescenti “gender non conforming” aumenta costantemente di anno in anno: al Centro ONIG (Osservatorio Nazionale Identità di Genere) di Napoli, nel 2005, soltanto 1 minore aveva richiesto assistenza psicologica, mentre nel 2018 le richieste sono salite a 31. A Londra l’incremento di richieste da parte di giovani under 18 è cresciuto del 400% rispetto al passato.

Le indicazioni per i pediatri

I punti principali che un pediatra dovrebbe tenere a mente quando si interfaccia con un adolescente con DG sono: a. dedicare del tempo all’ascolto e parlare lo stesso linguaggio, per esempio è importante chiedere che nome, pronome e parole preferisce o quelle da usare quando si fa riferimento alla persona; b. è fondamentale incoraggiare l’espressione di sé stessi, ovvero supportarli negli step che portano al riconoscimento della propria sfera fisica (es. vestiti, capelli) e della propria identità di genere nei modi ritenuti giusti per sé; c. lavorare con la famiglia e le istituzioni scolastiche per creare ambienti sicuri e di sostegno, a casa, a scuola e in ambito sanitario; d. indirizzare i bambini e le bambine e le loro famiglie verso un centro specialistico dedicato con un’équipe multidisciplinare integrata costituita da psicologi, neuropsichiatri infantili, endocrinologi pediatri, in grado di prendere in carico la DG e le problematiche familiari e che possano attivarsi con l’obiettivo di creare una rete di sicurezza per l’esplorazione dell’identità di genere del giovane; e. parlare delle possibilità mediche che possono supportare l’affermazione della propria identità di genere.

Approccio graduale e interventi reversibili

Le persone con DG chiedono l’aiuto del medico per sviluppare le caratteristiche fisiche del genere vissuto. I medici potrebbero prescrivere terapie ormonali per l’affermazione del genere dopo che un team multidisciplinare ha confermato la persistenza della DG e la presenza di un’adeguata capacità mentale per dare un consenso informato a questo trattamento. Molti adolescenti hanno questa capacità dall’età di 16 anni. Recentemente, diversi intellettuali francesi si sono riuniti in un appello contro il “furto dell’infanzia” e la “mercificazione del corpo” . L’articolo nasce in risposta alle nuove linee guida scozzesi, pubblicate nell’agosto 2021, che prevedono la possibilità di cambiare sesso e genere a scuola senza il consenso dei genitori dai quattro anni di età. Il timore di questi autori è che, tramite queste azioni, si incentivi la medicalizzazione di questi bambini e queste bambine, che potenzialmente potrebbero diventare consumatori di prodotti chimici ormonali per inseguire la chimera di un corpo fantasticato. Nel mondo ci sono moltissimi adolescenti che si trovano ad affrontare un percorso di affermazione e che chiedono aiuto a un team multidisciplinare di medici, i quali, prima di poter prendere una qualsiasi decisione, devono coinvolgere gli adolescenti in colloqui psicologici per prendere piena consapevolezza di tutti gli step di un percorso di affermazione di genere, di quali sono le aspettative e della necessità del supporto familiare. È questo approccio che permette ai ragazzi e alle ragazze di avere tutto il tempo necessario per riflettere. Infatti, le linee guida internazionali prevedono che gli interventi medici procedano in modo graduale, ogni fase deve essere accompagnata da un’attenta e approfondita valutazione dal punto di vista sociale, familiare e psicologico. Il punto di partenza dell’iter terapeutico è rappresento dagli interventi reversibili, che prevedono l’assunzione di farmaci che bloccano l’ipotalamo determinando un blocco nella produzione di estrogeni e testosterone, interferendo negativamente sui caratteri sessuali secondari. Interventi parzialmente reversibili equivalgono ad una terapia ormonale di affermazione di genere con l’obiettivo di indurre una pubertà congruente con l’identità percepita dalla persona. Per terminare, ci sono gli interventi irreversibili, ovvero gli interventi chirurgici di affermazione di genere, che sono previsti dopo la maggiore età.