Italia, un Paese in trappola

Al 77° Congresso SIP focus sulla denatalità

Intervista a Letizia Mencarini

Articolo pubblicato su Pediatria numero 3 – 2022, pag. 11-12

In Italia è noto essere in atto da tempo un calo continuo delle nascite che ha portato alla contrazione della popolazione. La bassa fecondità, che perdura ormai da 30 anni, e il conseguente invecchiamento della popolazione continuano a condizionare la situazione demografica del Paese che, nel post Covid, risentirà ulteriormente dell’incertezza economico-sociale iniziata con l’emergenza sanitaria del 2020. Ne abbiamo parlato con Letizia Mencarini, docente di Demografia alla Bocconi di Milano.

Professoressa Mencarini, lei sarà presente al prossimo Congresso SIP con una lettura magistrale dal titolo ‘La trappola demografica’. Cosa si intende con trappola demografica?

Partiamo dai fatti: lo scorso anno in Italia sono nati 399 mila bambini – il numero più basso dei nati dall’Unità d’Italia. Dal 2008, quando erano 577 mila, i nati sono in continuo calo. Ma se vogliamo capire quanto le nuove generazioni siano piccole possiamo confrontarle con le generazioni nate negli anni Sessanta che erano pari a oltre un milione di nati all’anno. Spesso viene però dimenticato che il numero di nati è dato da due fattori: 1) la volontà degli individui a poter/voler fare figli – e di questo è importante parlare, ossia del perché in Italia non si fanno neanche 1,3 figli a coppia –, ma anche 2) il numero di persone che possono fare figli, cioè i potenziali genitori.

La trappola demografica è proprio il fatto che i genitori di oggi sono i nati di una generazione fa. La bassissima fecondità, che perdura in Italia ormai da quasi trent’anni, ha ridotto il numero dei potenziali genitori e, dal lontano 1977, le generazioni dei figli sono sempre state meno numerose di quelle dei loro genitori. I padri e le madri di oggi non sono più composti dalle cospicue generazioni degli anni Sessanta del baby boom (quando i nati erano oltre un milione all’anno), ma sono per lo più i nati alla fine degli anni Ottanta (quando i nati erano poco sopra i 600mila) e anche degli anni Novanta (quando i nati sono sempre stati sotto i 600mila), solo un po’ incrementati dall’arrivo, nei decenni passati, di giovani stranieri. Da qui a un ventennio si prevede una contrazione assoluta ulteriore di quasi due milioni e mezzo di donne in età feconda. Si tratta di una spirale discendente: da meno madri non potranno che nascere meno figli, a meno che la fecondità delle donne italiane non aumenti in modo straordinario e, forse, irrealistico.

Come messo in evidenza nel mio libro ‘Genitori cercasi’, poiché il numero di genitori non potrà che diminuire nel prossimo futuro, anche se questi facessero improvvisamente molti più figli, il numero dei nati è destinato inesorabilmente a diminuire per un fatto puramente meccanico, al di là di ogni altra riflessione di natura economica, sociale o culturale.

Uno studio dell’agosto 2021 pubblicato sulla rivista Pnas da lei condotto insieme ad altri colleghi dell’Università Bocconi di Milano e a Seth Sanders della Cornell University di Ithaca ha indagato e messo a confronto i tassi di natalità di 22 Paesi ad alto reddito. Cosa è emerso da questo studio? Quale è stato l’impatto della pandemia in Italia sulla natalità?

In questo studio abbiamo mostrato, con i primi dati disponibili delle nascite che corrispondevano alla prima ondata della pandemia, che non c’è stato il tanto atteso ‘Corona baby boom’ profetizzato da molti mass media che vedeva nelle coppie costrette a stare a casa un motivo di rialzo della fecondità. La prima ondata della pandemia ha avuto come conseguenza un significativo calo delle nascite soprattutto nel Sud Europa: Italia (-9,1%), Spagna (-8,4%), e Portogallo (-6,6%). In realtà poi c’è stato un rialzo dei concepimenti nel periodo di allentamento della pandemia durante l’estate del 2020 per poi crollare di nuovo in corrispondenza della seconda ondata. Resta da capire perché (al netto del trend demografico delle nascite e al netto anche della gravità della pandemia, che sono controllati nei nostri modelli) alcuni Paesi siano stati molto reattivi – cioè i giovani hanno consapevolmente rimandato il concepimento di un figlio – mentre in altri – quali la Svizzera, i Pesi Bassi e i Paesi scandinavi questo non sia avvenuto.

Quali sono gli interventi da effettuare per invertire il trend?

Anni di ‘lasser faire’ di fronte alla bassa fecondità non solo hanno prodotto infelicità individuale e delle coppie, costrette ad avere meno figli di quelli che desidererebbero, ma stanno presentando un conto salato alla nostra società. Si può invertire la diminuzione delle nascite anno dopo anno? Non nel breve periodo, l’equazione ‘meno mamme = meno bambini’ lo impedisce. Come già detto spiegando i meccanismi della trappola demografica, il trend strutturale che conduce alla diminuzione dei potenziali genitori non è facilmente contrastabile nel breve periodo, se non – appunto – aumentando la fecondità. Per un’Italia che possa vedere crescere la fecondità media, non si dovrebbe temere una seria riorganizzazione, sistematizzazione e ampliamento del sostegno alle coppie a doppio reddito. Con l’attenzione, come già scriveva quindici anni fa Chiara Saraceno, che le due aree tipiche di intervento, cioè da una parte gli aiuti monetari alle famiglie e la tassazione, dall’altra la conciliazione tra lavoro e famiglia (i congedi parentali, magari obbligatori e pienamente retribuiti per entrambi i genitori, e il rafforzamento della qualità e della quantità dei servizi di cura dei bambini in età prescolare), non siano in contraddizione. Solo un mix di politiche (fiscali, in senso favorevole alle famiglie con figli; di servizi, per aiutare la conciliazione del lavoro di genitori con la professione; e per favorire la parità di genere) potrebbe creare un ambiente più ‘baby e family friendly’.

Per quanto nel nostro Paese i trasferimenti pubblici per famiglie e figli siano minori che in altri Paesi europei, non basterebbe ridurre il costo dei figli per averne di più. Gli interventi monetari avrebbero da soli poco effetto senza una promozione del lavoro femminile, una riduzione degli squilibri di genere nel mercato del lavoro e nel lavoro domestico e di cura tra i partner, senza alleviare le difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia dovuti alla scarsità dei servizi all’infanzia o ad orari di lavoro poco flessibili. Il nodo centrale, nella situazione italiana, è ancora la posizione delle donne, mentre il comportamento e la mentalità degli uomini stentano a trasformarsi e adeguarsi ad una genitorialità condivisa.

Altro tema importante è quello della ‘sindrome del ritardo’ dei giovani italiani che arrivano alle tappe di formazione della famiglia molto tardi. Tutte le misure che possono agevolare l’autonomia economica e abitativa dei giovani e una loro posizione più stabile nel mercato del lavoro possono aiutare a non rimandare le scelte riproduttive.