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Dalle Case della Salute alle Case di Comunità
Un progetto ambizioso di riforma dell’assistenza territoriale
di Rino Agostiniani, Tesoriere SIP
Articolo pubblicato su Pediatria numero 9 – 2022, pag. 10-11
Il decreto 23 maggio 2022, n° 77 “Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale” ha previsto la definizione di un nuovo modello organizzativo per le cure territoriali, tenendo conto delle novità introdotte dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e dei finanziamenti specificatamente dedicati. Elemento portante del modello organizzativo sono le Case di Comunità, “il luogo fisico, di prossimità e di facile individuazione al quale l’assistito può accedere per poter entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria, sociosanitaria e sociale”. L’obiettivo è garantire risposte efficaci ed efficienti a livello territoriale alla maggior parte dei problemi di salute delle persone, incluse le funzioni di prevenzione e promozione della salute stessa. Queste nuove strutture, evoluzione in qualche modo dell’esperienza delle Case della Salute (diffuse soprattutto in Toscana,Emilia e Veneto), saranno in tutto 1288, una ogni 40.000-50.000 abitanti e dovranno aprire i battenti entro metà del 2026 sfruttando i due miliardi di euro assicurati dal PNRR.
Il documento prevede due ‘categorie’ di Case di Comunità: quelle ‘hub’ (box 1) dove dovrà essere garantita obbligatoriamente un’ampia serie di servizi (dalla presenza medica h24 alle prestazioni diagnostiche) e poi le Case di Comunità ‘spoke’ (box 2), capaci di fornire un minimo obbligatorio di servizi medici e infermieristici, collegate in rete con le strutture ‘hub’. Tutte le aggregazioni della Medicina Generale e Pediatria di Libera Scelta, quali le AFT (aggregazioni funzionali territoriali) e UCCP (unità complesse delle cure primarie), sono ricomprese all’interno delle Case di Comunità, con sede fisica, oppure a questa collegate funzionalmente in qualità di strutture spoke, per i territori disagiati e a minore densità abitativa. Mettendo comunque a confronto la fotografia attuale dei servizi territoriali con il piano di riorganizzazione previsto nel decreto, non possono esservi dubbi circa la necessità di un loro potenziamento, con particolare riferimento ad altre figure sanitarie, in particolare infermieri, ma anche psicologi, terapisti della riabilitazione, dietisti, oltre che operatori del settore sociale. Non bisogna dimenticare, però, che i finanziamenti previsti dal PNRR sono dedicati alle opere strutturali e non al reclutamento del personale; questo aspetto configura una grave criticità, avendo già sperimentato proprio su questo tema una esperienza negativa per la dissociazione tra obiettivi programmatici ed effettiva realizzazione dei progetti. Infatti, la base per una riformulazione delle attività e delle funzioni dell’area delle cure primarie era già contenuta nell’articolo 1 della legge Balduzzi (legge n.189 del 8 novembre 2012) sul riordino dell’assistenza territoriale, che, purtroppo, è rimasto in gran parte inapplicato dalle Regioni.
La necessità di superare il modello di lavoro attuale sul territorio con medici e pediatri di famiglia che operano singolarmente, creando delle équipe multiprofessionali che, nel rispetto dei ruoli e delle competenze, potranno garantire la presa in carico globale della persona, è una delle indicazioni principali del decreto 77, per dare finalmente soluzione a problemi complessi ed irrisolti da oltre 20 anni, quali le cure domiciliari, la continuità assistenziale e l’integrazione ospedale territorio.
Questo aspetto merita due riflessioni: per una buona sintonia all’interno delle équipe multiprofessionali sarà necessario prevedere e definire fasi formative comuni per i diversi professionisti coinvolti nella composizione delle équipe, con particolare attenzione rivolta agli aspetti comunicativi/relazionali; il tema dei diversi contratti di lavoro dei professionisti che dovranno comporre le équipe assistenziali multiprofessionali, potrà rappresentare un elemento di potenziale criticità dal punto di vista gestionale/organizzativo. Su quest’ultimo tema un capitolo interessante da approfondire, con possibilità di declinazioni diversificate in funzioni delle realtà geografiche, sarà il rapporto tra strutture pediatriche ospedaliere di piccole dimensioni e Case di Comunità, con l’opportunità di una distribuzione flessibile delle competenze professionali tra ospedale e territorio.
Nell’ambito della valorizzazione delle figure sanitarie non mediche, una scelta di grande importanza è l’identificazione della figura di Infermiere di Comunità, con compiti dettagliatamente descritti nel paragrafo dedicato. Ciò che non è chiaro è in quale organigramma si colloca tale figura e, soprattutto, la modalità di arruolamento di professionisti competenti per poter assolvere a tale ruolo, in particolare per quanto riguarda l’età pediatrica. Analoga osservazione può essere fatta per quanto riguarda l’assistenza domiciliare ai pazienti cronici pediatrici, situazione nella quale il possesso di competenze specialistiche da parte dei professionisti impegnati nel percorso di cura è elemento essenziale per una appropriata presa in carico. Altro problema che dovrà essere necessariamente affrontato è la realizzazione di attività ambulatoriali specialistiche ‘a misura di bambino’, per evitare il rischio di omogenizzare le prestazioni specialistiche (allergologia, gastroenterologia, nefrologia, ecc.) in base alla patologia di organo, senza distinzioni legate all’età. In questo senso una parziale modulazione del ruolo delle Case di Comunità potrà essere attuata in rapporto alla disponibilità di specialisti dedicati all’età evolutiva quando la sede ospedaliera è prossima alla Casa di Comunità.
L’obiettivo del progetto di riforma dell’assistenza territoriale è ambizioso; l’auspicata integrazione tra i diversi professionisti afferenti all’area sanitaria (prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione) con i professionisti dell’area sociale, scolastica e sportiva, dovrà basarsi su una visione chiara ed una piena condivisione degli obiettivi che si vogliono raggiungere e necessariamente coordinarsi con le diverse politiche che tracciano la vita delle persone, dal lavoro al sostegno del reddito, da un vero welfare di comunità ad una piena integrazione e valorizzazione del Terzo settore e del volontariato, da un’urbanistica rispettosa dell’ambiente ad una mobilità sostenibile. E non sarà facile.