Per una medicina narrativa

La competenza narrativa, dei curanti, è la “capacità di riconoscere, assorbire, interpretare e comprendere le storie degli altri”

di Stefania Polvani

Articolo pubblicato su Pediatria numero 9 – 2022, pag. 14-15

I numeri sulla salute nel nuovo millennio hanno parlato chiaro: si vive più a lungo, si sta meglio, si fanno sempre più scoperte sulle malattie, anche quelle rare. Molte malattie, grazie a nuove cure, da mortali diventano croniche, anche quelle trasmissibili. Almeno in Europa, almeno fino al 2020, finché impattiamo violentemente in un virus che fa saltare il mondo, gli equilibri e le certezze. Ma, sia prima che dopo il Covid, è anche emersa una doppia consapevolezza: da un lato la medicina ha raggiunto straordinari traguardi, dall’altro la malattia resta una esperienza individuale, umana, non protocollabile, indissolubilmente associata alla storia delle singole persone.

Perché la narrazione nella pratica clinica? Sul “British Medical Journal”, alla fine degli anni ’90, Trisha Greenhalgh e Brian Hurwitz pubblicano “Dialogue and Discourse in Clinical Practice” e “Why study narrative?”: la medicina narrativa (MN) appare nella letteratura scientifica. I due medici parlano di malattia e di racconto, anche nell’insegnamento e nella pratica della medicina, dell’efficacia per affrontare aspetti esistenziali come il dolore interiore e morale che accompagna la malattia, per inquadrare il paziente, per sviluppare una comprensione che non può essere raggiunta con nessun altro mezzo, per considerare opzioni diagnostiche e terapeutiche che potrebbero essere ignorate, anche a rischio dei pazienti. Rita Charon è considerata la fondatrice della narrative medicine per le sue pubblicazioni e per avere attivato il corso alla Columbia University di NewYork, dove i futuri medici apprendono le competenze necessarie per ascoltare, per interpretare e rispondere ai pazienti con la relazione e non solo con i farmaci. Apprendono come la pratica medica, e più in generale dei curanti, richiede competenza narrativa, ossia capacità di riconoscere, assorbire, interpretare e comprendere le storie degli altri. E le opportunità della MN, che migliora la sensibilità alle storie di malattia; la capacità di attenzione insieme a pazienti e colleghi; la somministrazione di cure migliori e più efficaci.

Intanto, dal 2004, in Italia nasce il progetto NAME alla ASL di Firenze: la MN applicata in una Organizzazione sanitaria. Tutto inizia con eventi formativi che fanno focus sulla illness, sulla storia, sul vissuto, sull’esperienza personale di chi non sta bene; sull’“alleanza terapeutica” e le ricadute nel sistema della cura. Poi continua con un programma di formazione-ricerca-applicazione nella pratica di cura e infine con la formalizzazione del Laboratorio NAME che impegna negli stessi obiettivi professionisti di strutture sanitarie e amministrativo/ organizzative.

Tra i tanti strumenti e i metodi della MN utilizzati nel Laboratorio NAME ricordiamo le interviste negli ambiti del carcinoma mammario, dello scompenso cardiaco, dell’Alzheimer e della Terapia Intensiva che hanno dato spunti di cambiamento organizzativo; il Decalogo del buon paziente e del buon medico che, elaborato ex novo, ha evidenziato come uno strumento narrativo può migliorare le scelte e gli stili di vita dei pazienti, il gradimento dei servizi e perfino l’aderenza alle terapie. NAME è un progetto ripetibile, ha reso chiaro ed evidente come la narrazione aiuti chi ha una malattia a fare ordine, divenendo terapeutica; aiuta i professionisti a conoscere meglio le persone, a individuare i momenti in cui la comunicazione, la relazione e l’ascolto si fanno irrinunciabili, a costruire percorsi di cura condivisi, a riflettere sul proprio modo di curare e a migliorare la complicità. In Italia è una Consensus Conference a definire e raccomandare la MN: “una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. Il fine è la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato (storia di cura). La MN si integra con l’evidence based medicine (EBM) e, tenendo conto della pluralità delle prospettive, rende le decisioni clinico-assistenziali più complete, personalizzate, efficaci e appropriate. La narrazione del paziente e di chi se ne prende cura è un elemento imprescindibile della medicina contemporanea, fondata sulla partecipazione attiva dei soggetti coinvolti nelle scelte”. La stessa Conferenza di Consenso dichiara che la MN può essere utilizzata negli ambiti di: prevenzione, diagnosi, terapia e riabilitazione; aderenza al trattamento; funzionamento del team di cura; consapevolezza del ruolo professionale e del proprio mondo emotivo da parte degli operatori sanitari e socio-sanitari; prevenzione del burn-out degli operatori e dei caregiver; promozione e implementazione del PDTA; ottimizzazione delle risorse economiche; prevenzione dei contenziosi giuridici e della medicina difensiva.